Nel corso della storia, lo Yemen è stato una meta intermedia tra l’Africa orientale e le affollate rotte mercantili dell’Oceano indiano occidentale. Grazie al suo clima è stato sede di grandi civiltà molto prima della fondazione dell’Islam e successivamente divenne sede di numerose ed influenti dinastie del mondo islamico. Tutti questi fattori hanno contribuito al diverso sviluppo culturale del paese i cui risultati sono vivi ancora oggi ed enormemente minacciati dall’aggravarsi della guerra civile ancora in corso.
Oggi, lo Yemen è coinvolto in una guerra civile sin dal 2015, una guerra che ha causato sia enormi sofferenze sul lato umano, sia ingenti danni materiali non solo alle infrastrutture del paese, ma anche al suo patrimonio culturale di inestimabile valore.
Sono molte le fazioni coinvolte nel conflitto, ma le principali comprendono il presidente destituito Abdrabbuh Mansur Hadi, di estrazione Sunnita, sostenuto dalla «resistenza popolare» nello Yemen e dall’aeronautica della coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti ( con l’appoggio degli Stati Uniti) da un lato; dall’altro troviamo l’opposizione Houthi, di matrice sciita e per questo supportata dall’Iran.
Il rapporto intitolato il “degrado della storia: violazioni commesse dalle parti in conflitto contro il Patrimonio culturale dello Yemen”, redatto dall’organizzazione yemenita Mwatana, ha dimostrato che i siti monumentali dello Yemen sono stati danneggiati da tutte le parti in causa.
L’organizzazione Mwatana ha condotto una serie di ricerche per un periodo di circa tre anni, principalmente attraverso interviste sul campo e visite in loco. Le Informazioni ivi contenute però sono spesso limitate, poiché diversi siti erano impossibili da visitare a causa delle operazioni militari in corso. Sfortunatamente non sono state raccolte fotografie a testimonianza dei danni arrecati ma il rapporto si basa esclusivamente sulle testimonianze oculari dei ricercatori e degli intervistati.
Esistono, in base al rapporto, una serie di episodi documentati di distruzione del patrimonio culturale effettuati da parte dei gruppi jihadisti, la maggior parte dei danni è il risultato diretto della violenza dei combattimenti; tuttavia il rapporto suggerisce che il più grande colpevole è la coalizione araba guidata dai sauditi che, dotata di aviazione, non si risparmia dal prendere di mira i beni culturali espressione dello sciismo.
Il paese contiene ben quattro siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, e tra questi è presente la città vecchia di San’a, capitale del paese. Negli ultimi anni, il patrimonio culturale yemenita è costantemente minacciato: antiche dighe, moschee medievali, collezioni museali e reliquie dell’era coloniale sono state in buona parte danneggiate o distrutte dai bombardamenti a guida Saudita anche se i danni sono stati causati anche dai ribelli Houthi, distruzioni a cui non si sono sottratte le altre forze belligeranti come le truppe governative o le organizzazioni terroristiche.
La tragedia Yemenita però, a differenza di altre situazioni simili come la Siria e l’Iraq, non ha ricevuto affatto attenzione mediatica, anzi è stata trattata molto marginalmente dalle testate giornalistiche italiane ed internazionali. La distruzione del patrimonio culturale yemenita è grave al pari dei ben più noti casi.
Ma perché questa disparità? Per prima cosa, la Siria e l’Iraq hanno un gran numero di resti archeologici strettamente collegati con testi biblici e sono riconducibili a forme architettoniche classiche, come Palmira e Ninive: in poche parole sono resti che possono facilmente essere ricondotti anche al passato occidentale e quindi la loro distruzione ha suscitato un sentimento condiviso di indignazione e sgomento. Le antichità yemenite, per la loro storia e posizione geografica, si adattano molto meno al passato occidentale, il che rende molto più semplice ignorarne la distruzione.
C’è un altro fattore non irrilevante: il patrimonio culturale siriano è stato utilizzato come arma di guerra nella guerra civile siriana. Sia l’Isis che la Russia hanno utilizzato i siti archeologici come campi base per le operazioni militari mentre gli Stati Uniti lo hanno usato per giustificare le campagne di bombardamento. Nello Yemen, invece, il calcolo è totalmente diverso perché la principale minaccia al patrimonio culturale, e soprattutto alla vita umana, è la coalizione araba, guidata dall’Arabia Saudita, storico alleato degli Stati Uniti e dell’occidente in generale. Per questo motivo ci sono stati pochi incentivi per i governi e media occidentali a richiamare l’attenzione sulle azioni di un “alleato”.
All’interno di questa tragedia, una delle storie poco conosciute, tra le tante, è la grave minaccia che hanno subito e subiscono le biblioteche. I manoscritti islamici conservati in Yemen sono tra i più grandi tesori appartenenti al paese. Il più famoso è probabilmente il frammento del Corano di San’a, considerato uno dei più antichi al mondo riportando una versione del testo diversa da quella odierna e quindi suscettibile a distruzione da parte dei gruppi estremisti, trovato all’interno della Grande Moschea e ancora lì conservato e, fortunatamente, al sicuro.
Lo stesso non si può dire delle collezioni Zaydi[1] sparse in piccoli musei e biblioteche private dislocate su tutto il territorio che sono state vittima di distruzione o saccheggio. I ribelli Houthi appartengono alla corrente Zaydista e hanno stretto legami con l’Iran sulla base delle tendenze sciite comuni e per l’ostilità generale nei confronti dell’Arabia Saudita.
Le biblioteche zaydi dello Yemen sono uniche nel loro genere, essendo espressione di una corrente dell’Islam sciita circoscritta. La maggior parte di questi manoscritti copre un periodo enorme, spaziando dal periodo tardo medievale sino all’inizio dell’età contemporanea dal momento che la pratica amanuense è sopravvissuta nello Yemen sino all’inizio del XX secolo; si tratta quindi di una tradizione millenaria.
A causa della difficoltà di accesso alle informazioni non è possibile stabilire l’effettiva entità del danno. Ciò che è certo è che la distruzione è stata portata avanti non solo dalle vicissitudini della guerra, ma anche da motivi di odio religioso dal momento che parte della distruzione è avvenuta per mano di militanti salafiti che considerano gli Zaydi e i loro testi sacri come eretici.
Fortunatamente, è in corso un progetto volto alla digitalizzazione[2] e quindi alla preservazione dei manoscritti.
Le vicende umane della guerra civile in Yemen oggi, purtroppo, sono considerate dall’occidente secondarie rispetto ad altre realtà; ciò non toglie che la comunità internazionale dovrebbe intervenire con maggior rigore per tutelare la vita umana e la cultura di un popolo, a prescindere dal luogo dove le crisi avvengono
[1] Lo Zaydismo è una delle varianti dello sciismo diffusa esclusivamente in Yemen e che comprende circa il 35% della popolazione.
[2] https://www.neh.gov/article/zaydi-manuscript-tradition
https://www.my101.org/discussione.asp?scrol=1&id_articolo=1360