Discussione

Emily Dickinson, la scrittrice ribelle.

Emily Dickinson, la scrittrice ribelle.

Emily Dickinson, la poetessa ribelle. “Un’outsider, insofferente alle regole” afferma la scrittrice Alena Smith a proposito di Emily Dickinson, poeta capace di vedere oltre la realtà, perché ella dimora nel mondo infinito dell’immaginazione. Comincerei a introdurre Emily Dickinson con questa poesia: To make a prairie it takes a clover and one bee, One clover, and a bee, And revery. The revery alone will do, If bees are few. Per fare un prato ci vuole del trifoglio E un’ape, un trifoglio e un’ape E sogni ad occhi aperti E se saran poche le api Basteranno i sogni. Le parole entrano nell’anima e liberano strati di verità che fino a un< momento prima non sapevamo neppure di avere intuito Versi, il cui linguaggio, semplice e immediato esalta il potere creativo dell’immaginazione, dono divino del poeta. IN SUPERFICIE Emily Dickinson nasce nel 1830, muore nel 1885, la prima di tre fratelli, lei, Lavinia e Austin; vive ad Amherst, una cittadina nel Massachusetts. Frequenta la Amherst Academy, dove trascorre felice i quattro anni di scuola media, insieme alla sorella Lavinia. Passa il resto della sua esistenza nella dimora del padre, la Homestead, entro i confini del suo giardino, e poi della sua stanza, punto di osservazione privilegiato sulla Vita, sul Mistero, su se stessa soprattutto, filtro vivente della quotidianità e degli accadimenti della vita. Edward Dickinson, suo padre, è avvocato e noto personaggio pubblico, spesso via per affari; la madre, Emily Norcross, ne soffre la mancanza e per il peso della solitudine si chiude lentamente in se stessa. Emily soffre molto per il distacco e la lontananza affettiva dei genitori, scrive: “Io non ho una madre”, eppure è molto affezionata, soprattutto al padre, e si prenderà amorevolmente, e con sacrificio, cura di loro fino alla fine. Su tutto posa il suo sguardo Edward Dickinson, che ha già pianificato la vita dei figli. Le due sorelle avrebbero avuto una sorte diversa rispetto al fratello, su cui egli punta tutte le speranze: Austin si sarebbe laureato in legge. Una volta terminata la Amherst Academy, Emily doveva frequentare il Mount Holyoke Female Seminary, una delle istituzioni cristiane per l’educazione superiore femminile fondate nel XIX secolo negli Stati Uniti. In realtà vi rimane pochissimo tempo, dieci mesi, insofferente alla rigida impostazione morale ed educazione religiosa. Il padre decide di ritirarla, ritiene Emily troppo sensibile, la sua fragile costituzione è turbata dalle numerose letture, è meglio che le coltivi tra le mura domestiche, con una giusta guida. Emily riesce tuttavia a frequentare un corso di letteratura e, a suo modo, si rivale sul padre. Vi incontrerà il primo dei suoi grandi tre “Master”, maestri: Leonard Humphrey, che la avvia alle importanti letture che avrebbero segnato il suo percorso poetico e umano. Purtroppo Leonard muore giovane, ed Emily ne soffre acutamente. Scrive nel 1862: “Sono andata a scuola – ma nel modo in cui intende lei – non ho avuto un’istruzione. Da bambina avevo un amico che mi ha insegnato l’Immortalità – ma essendosi arrischiato ad andarle troppo vicino, lui stesso – non ne ha fatto ritorno. Subito dopo è morto il mio Maestro […]”. Emily adolescente può godere della compagnia di uomini adulti, colti, i suoi tre, insostituibili Maestri. Con essi può discutere di letteratura, filosofia, nutrire la sua naturale curiosità intellettuale. Tra gli altri la Dickinson conosce Ralph Waldo Emerson, poeta e filosofo americano, William Wordsworth, poeta romantico inglese, Lord George Gordon Byron, poeta romantico inglese, noto per il suo atteggiamento sprezzante, inventore dell’eroe Byroniano, Charlotte Brontë, una delle sorelle Brontë, le altre erano Emily e Anne, autrice del romanzo Jane Eyre, Charles Dickens, scrittore inglese vittoriano, autore tra gli altri di Oliver Twist e David Copperfield, e altri classici; Shakespeare naturalmente, ma legge avidamente di tutto, compresa la letteratura a lei contemporanea e le riviste. Tutto qui. Sulla superficie della sua esistenza non avviene nient’altro. È altrove che si deve cercare, più in profondità, oltre le apparenze. ALLA RICERCA Le suggestioni letterarie si univano a un carattere particolare, passionale in tutti i versanti della vita, allo stesso tempo eccezionalmente sensibile, quasi vivesse subendo sulla propria anima ogni contraccolpo proveniente da eventi esterni o interiori. Prova trasporto e abbandono per gli amori della sua vita, donne e uomini, in quanto i sentimenti li viveva, senza giudicarli. Gli slanci sentimentali si manifestano in un tono “quieto”, discreto, in quanto lei affida la sua irrequietezza spirituale alla silenziosa riservatezza della sua poesia. È attraverso essa che Emily impara a conoscere e confrontarsi con le sue pulsioni, i suoi pensieri, i sogni, i desideri e le paure della vita interiore, dalla quale sgorgano, a volte felicemente, altre con dolore e strazio, significati e sensi, ma anche domande angosciate, o meraviglie che la inebriano. Su tutto l’attrae, e la spaventa, il Mistero della vita. Si interroga, e si interroga, senza trovare risposte, né riuscire a costruirle con l’aiuto della fede o del mito. Nei riguardi della fede, Emily ha dubbi, vacillamenti. Per lei i boschi e i prati sono la Chiesa che ama frequentare, non quella dove si reca tutte le domeniche la sua famiglia. Smette così di andarci, in un ambiente e in un’epoca quando questo era considerato un atto empio, che precludeva la partecipazione alla schiera degli eletti. RIBELLE Inizia a scrivere a circa vent’anni, e da subito la sua poesia manifesta tratti originali: non ha messaggi da comunicare, teorie da sostenere, la sua è poesia senza compromessi, il linguaggio si fa forma pura di conoscenza. Una strada impegnativa. Intimamente ribelle, rifiuta le regole e le imposizioni, siano esse compositive, o della rigida società vittoriana in cui viveva. Nel 1850 in agosto ci fu una grande festa per l’adesione di settanta membri alla Chiesa Congregazionista, cui aderivano i Dickinson. In quel clima di forte revival religioso, Emily scrive: “Sono ferma qui, sola, ribelle”. IL SUO “VIZIO” Austin e Lavinia sapevano appena delle sue poesie, del suo “vizio” privato, come dice Barbara Lanati nel suo libro Vita di Emily Dickinson. L’alfabeto dell’estasi. Emily per Amherst non è che una donna normale, nota per il suo ammirato giardino; lei ce ne ha lasciato memoria nel suo Herbarium: vi coltiva nasturzi, campanule, primule, gerani, peonie, iris. Scrisse 1775 poesie, più numerose lettere a diversi interlocutori. Dalle sue parole si possono rilevare le tracce, esili, della sua esistenza. Non scrisse diari, non scrissero su di lei, e quando, dopo morta, venne alla luce la sua opera, le tracce biografiche o erano inesistenti, in quanto Emily volle tenere il suo privato per sé, oppure erano state distrutte, “censurate”, in quanto troppo intime e anti-convenzionali. In compenso, leggendola, la sua anima si schiude al lettore, timidamente, e rivela abissi di consapevolezza. Ci pensava a diventare famosa? In modo del tutto naturale, in una poesia, ipotizza come sarebbe se avesse successo; Emily desidera essere pubblicata, vuole che i suoi versi vengano ascoltati. Success is counted sweetest By those who ne’er succeed. To comprehend a nectar Requires sorest need. Not one of all the purple Host Who took the Flag today Can tell the definition So clear of Victory As he defeated – dying – On whose forbidden ear The distant strains of triumph Burst agonized and clear! Pare il successo dolcissimo A chi non l’ha conosciuto. Solo chi ne sa doloroso il bisogno Conosce il sapore di un nettare. Non uno della Folla purpurea Che oggi ha conquistato la bandiera Saprà con tanta chiarezza Dire ciò che vittoria è Come chi – nell’agonia Dell’esclusione – battuto – sente risuonare Dilacerato e preciso Lo stridore lontano del trionfo. Dunque, a chi non lo ha conosciuto, il successo pare assai dolce, solo chi ne ha provato un forte bisogno conosce il sapore di quel nettare. Quando costui, o costei ne sarà escluso, o esclusa, sentirà comunque sempre, come da lontano, la musica trionfale del vincente che le lacererà l’anima, sfiancata dal quel suono che addolora. A poco a poco, però, la poetessa perde interesse per il mondo editoriale, non le importa più pubblicare; quel che conta è far risuonare la sua voce più segreta, che parla libera con una grammatica esclusiva che illumina, a lei soprattutto, la strada che sta percorrendo. Scrivere per Emily è trovare se stessa. Ne nasce una personalità originale: nel secolo diciannovesimo osò, decisamente controcorrente, fare la scrittrice; allo stesso modo non si conformò mai, sempre il suo pensiero fu libero e autonomo, per molti versi una combattente ante litteram per i diritti delle donne. I suoi versi non concedono nulla alle mode effimere, ma si esprimono in un linguaggio unico, preciso, tagliente, dove la scelta delle parole è sempre assai accurata, e dove nessun dettaglio – dalla punteggiatura alla sintassi – è lasciato al caso, ma piegato alla necessità del parola lirica. Facendo poesia dialoga con se stessa. Le sue sono poesie non facili: non c’è un pensiero logico che le lega, un qualche costrutto o sistema; affollate di immagini che spesso sono convenzioni private dell’artista -come la Circonferenza –, oppure lanciate in uno spazio vuoto di contesto, in riferimento a elementi della sua quotidianità, quasi impossibili da chiarire. In lei tutto è metafora, mai consuete, non è possibile ricorrere a una tradizione per interpretarle e comprenderle. Emily era di riferimento solo a se stessa, e sempre più verso sé stessa si dirige la sua attenzione con lo scorrere degli anni. Per penetrare il senso della sua poesia è necessario purificarsi dagli strati di pregiudizi e consuetudini linguistiche, sociali, personali e culturali, rinunciare agli abituali modi di pensiero, aprirsi al possibile e immergersi con l’essere in ciò che ella dice. A un tratto un’immagine prende forma e illustra il significato. Spesso è destabilizzante, è necessario andare a ritroso, alle origini del pensiero, procedere per associazioni, affidarsi all’intuito per comprenderlo; al contempo, si è sopraffatti da sentimenti forti, da riconoscimenti e somiglianze che paiono echeggiare nell’infinitezza del subconscio collettivo e archetipico. Emily esprime indirettamente quel mistero che lei vede e sente, ma che il linguaggio umano non è in grado di esprimere. Non ha altro modo, lo affronta avvicinandosi il più possibile alla verità, e, come Icaro, si brucia le ali dell’ispirazione, cedendo alla visione mistica. Procedendo negli anni, le sue composizioni diventano sempre più ellittiche, scarne, rimane poco da poter dire attorno all’ineffabile. Pure la punteggiatura è al servizio di questa lingua dell’indicibile, come il trattino che si sostituisce a un significato che non è possibile dire, o pone una pausa, chiede silenzio, per mettere parole e immagini in ordine, collocarle e capirne meglio il senso. Il significato della poetica Dickinsoniana prende corpo componimento dopo componimento, come se essi fossero le voci di un diario interiore, il suo contraddittorio, la verità ultima che cerca e trova in fondo a se stessa. I TEMI I temi del suo percorso lirico sono la Natura, il mistero della Vita e della Morte (lei lo chiama “Circonferenza”, il cerchio concluso dell’esistenza), la Morte e l’aldilà che immagina in tante situazioni differenti; l’amore. Il suo stile è l’espressione della sua fertile interiorità e ne segue fedelmente ogni modulazione, in modo che esterno e interno, macro e micro cosmo diventano una cosa sola. La Morte l’affascina in modo quasi morboso, se la figura in modi e attitudini differenti: un fantasma che adula per svelarsi poi nella sua orridità e catturare… cosa? L’anima? L’essere? Il corpo? Oppure è un gentiluomo che cortesemente l’accompagna all’Eternità. The only Ghost I ever saw Was dressed in Mechlin – so – He had no sandal on his foot – And stepped like flakes of snow – His Gait – was soundless, like a Bird – But rapid – like the Roe – His fashions, quaint, Mosaic – Or haply, Mistletoe – His conversation – seldom – His laughter, like the Breeze That dies away in Dimples Among the pensive Trees – Our interview – was transient – Of me, himself was shy – And God forbid I look behind – Since that appalling Day! L’unico Fantasma che ho mai visto Era abbigliato in Mechlin – proprio così – Non aveva sandali ai piedi – E camminava come fiocchi di neve – Il suo Passo – era silenzioso, come un Uccello – Ma rapido – come il Capriolo – I modi, antiquati, a Mosaico – O magari, Vischio – La conversazione – scarsa – Il riso, come la Brezza Che si spegne in Crespe Fra gli Alberi pensosi- Il nostro colloquio – fu effimero – Di me, era timoroso – E Dio non voglia che mi guardi indietro – Da quel Giorno spaventoso! Oppure: Because I could not stop for Death – He kindly stopped for me – The Carriage held but just Ourselves – And Immortality. We slowly drove – He knew no haste And I had put away My labor and my leisure too, For His Civility – We passed the School, where Children strove At Recess – in the Ring – We passed the Fields of Gazing Grain – We passed the Setting Sun – Or rather – He passed Us – The Dews drew quivering and Chill – For only Gossamer, my Gown – My Tippet – only Tulle – We paused before a House that seemed A Swelling of the Ground – The Roof was scarcely visible – The Cornice – in the Ground – Since then – ‘tis Centuries – and yet Feels shorter than the Day I first surmised the Horses’ Heads Were toward Eternity -– Poiché per la morte non potevo fermarmi, gentilmente a morte si fermò per me. Per noi soli in carrozza c’era spazio – E per l’immortalità – Lentamente – non aveva fretta, io, per la sua cortesia, avevo messo da parte l’ozio e anche il lavoro. Passammo oltre la scuola, dove i bambini nell’intervallo, in cortile, lottavano- Oltre i campi dai quali il grano ci fissava – Oltre il tramonto del sole – Noi lo passammo, o meglio, lui ci passò E la rugiada si fece fredda e tremante – Che di garza avevo la veste, e il mantello nient’altro che tulle– Ci fermammo di fronte a una casa – Come un rigonfiamento di terra – Il tetto appena visibile – Il cornicione – nella terra – Da allora – sono – secoli – pure se mi sembrano Più brevi del giorno in cui, per la prima volta Mi venne il sospetto, che le teste dei cavalli Fossero volte all’eternità – La Morte è un gentiluomo (Emily si inventa una Morte maschile!), tra loro i rapporti sono di estrema civiltà. Lui la porta in carrozza, e lei sente un po’ di freddo, poiché indossa un abitino di tulle. Quel viaggio le pare di qualche giorno, finché le viene il dubbio che i destrieri su quella carrozza magica la portino verso l’eternità. In questa poesia la Morte è amica, un incontro. Lampi di comprensione sublime, estatica si accompagnano a domande metafisiche, prive o sovrabbondanti di risposte: cos’è la Morte? La vita non è altro che un cammino verso la morte? E la morte è forse il centro dell’esistenza? A volte la Morte è incontro, come in “Because I could not stop for Death -”, altre straziante abbandono, perdita, assenza senza fine. Emily non si perde solamente nel suo mondo poetico, è anche molto attenta a quel che accade attorno a lei, intuisce i pensieri, capisce i comportamenti, vede al di là della mera apparenza, giungendo al motivo essenziale che guida la vita di ognuno, per questo osserva in disparte, e non giudica mai, neppure le amanti del fratello, la petulanza delle nobildonne di Amherst. INCONTRI, AMORI, ABBANDONI Chi furono le persone con cui Emily si relazionò? La famiglia, ovviamente, in particolare il padre, che la vorrà accanto a sé e di cui lei era la preferita, Lavinia, Austin e i suoi figli. Al di fuori della cerchia familiare ci furono persone cui Emily si legò visceralmente, nella mente, nello spirito, nella vicinanza fisica. Tra queste Susan Gilbert, conosciuta alla Amherst Academy, che diventerà poi la moglie di Austin. Di lei Emily si innamora, perdutamente. Descrive momenti di intimità, confessioni, racconta di lunghe passeggiate. Tra loro molte poesie, molte lettere, spedite o portate a mano dalla Homestead a Evergreen, la dimora confinante che Edward aveva fatto costruire per Austin e Susan. La passione esplode nei versi, il desiderio si infrange sulle rive dell’amata: Come slowly – Eden! Lips unused to Thee – Bashful – sip thy Jessamines – As the fainting Bee – Reaching late his flower, Round her chamber hums – Counts his nectars – Enters – and is lost in Balms . Vienimi incontro – Eden – lentamente! Labbra che ancora non ti conoscono Succhiano caute ai tuoi gelsomini – Come l’ape, quando ormai sul punto di venire meno – Raggiunge il fiore – tardi – E s’aggira ronzando attorno alla stanza – Ne passa in rassegna i nettari – entra – E infine nei profumi si perde. E ancora: Wild nights – Wild nights! Were I with thee Wild nights should be Our luxury! Done with the Compass – Done with the Chart! Futile – the winds – To a Heart in port – Rowing in Eden – Ah, the Sea!– Might I but moor – tonight – In thee! Notti selvagge – Notti selvagge! Fossi con te Notti selvagge sarebbero la nostra passione. Inutili – i venti – a un cuore ormai in porto – non serve la bussola – non serve la mappa – Remare nell’Eden –Il mare! Potessi almeno ormeggiare – Stanotte in te Immagini erotiche che esprimono lo slancio totale e sincero, quando, alla compostezza del giorno, si sostituisce l’ardore di due anime. Attraverso le parole, percorriamo l’intera parabola della loro relazione: dagli assalti frenetici del cuore, alla freddezza (e al dolore) dell’allontanamento, alla delusione nello scoprire che Susan non è la persona che Emily credeva. Sposato Austin, Susan ottiene ciò che vuole davvero: una grande casa, elegante, in cui ricevere ospiti illustri, che faranno di Amherst un vivace centro culturale. All’egocentrismo e alla brama di prima donna di Susan, Emily risponde con un improvviso silenzio. D’altra parte Susan non ha saputo, o voluto, rispondere con il suo stesso coinvolgimento. Emily riprenderà la corrispondenza con lei solo negli ultimi anni della sua vita, circa 30 anni dopo. Verso le tre figure che ebbero così intensa influenza sulla crescita intellettuale, e maturazione personale di Emily, i Master, Emily provava intensi slanci spirituali, nutriti da ammirazione e attrazione.Non è mai chiaro il confine tra ammirazione e amore per la Dickinson, perché Emily inscrive nel cerchio dei suoi sentimenti anche un affetto siffatto, platonico, di affinità intellettuali, di riconoscenza, e l’entusiasmo con cui vi si immerge non è diverso dai tormenti d’amore. Eppure un grande amore ci fu. Si chiamava Otis Philip Lord, un giudice. In questa poesia Emily usa parole da innamorata: Go slow, my soul, to feed thyself Upon his rare Approach – Go rapid, lest Competing Death Prevail upon the Coach – Go timid, should his final eye – Determine thee amiss – Go boldly – for thou paid’st his price Redemption – for a Kiss – Fai piano anima mia nutriti poco per volta Del suo raro avvicinarsi – Fa in fretta affinché invidiosa la morte Non ne superi la carrozza- Fai attenzione, che il suo sguardo finale Non ti giudichi inopportuna – Fatti avanti – Perché il prezzo richiesto, tu l’hai pagato La Redenzione – per un bacio Descrive l’incontro di due cuori il cui premio finale è un bacio, come nel famoso incontro tra Romeo e Giulietta, nel primo atto, scena quinta. In una lettera nel 1884 gli scrive: “È strano che tu mi manchi tanto di notte dal momento che non sono mai stata con te – ma l’amore puntualmente ti domanda, appena ho chiuso gli occhi – così mi sveglio calda dal desiderio che il sonno ha quasi appagato […].” Si incontrano nel 1859, Otis è collega e amico di Edward, ma la loro relazione sboccia dopo la morte della moglie di lui, Elizabeth, nel 1877 e durerà fino al 1884, anno in cui Otis si spegne. Ebbero una vivida relazione epistolare, dalla quale traspare la loro affinità, soprattutto intellettuale. Dickinson scrisse: “Mentre gli altri vanno in Chiesa, io vado alla mia. Forse che non sei tu la mia Chiesa, forse che noi non abbiamo un inno che conosciamo solo noi?” Lei lo chiamava “il mio amato Salem” (Salem era la città di Otis), e si scrivevano ogni domenica, giorno che Emily aspettava con impazienza, tanto da dire che “martedì è un giorno molto deprimente”. Lui le chiese di sposarla, ma lei declinò. Samuel Bowles, probabilmente uno dei Master (Emily non ne svela mai i nomi), era giornalista e redattore capo dello “Springfield Daily Republican” e molto vicino alla famiglia Dickinson; dal 1858 iniziano uno scambio epistolare. Per lui Emily proverà grande attrazione, intellettuale e personale, lui era molto colto, brillante, sensibile. È Bowles che stampa quattro delle sue poesie tra il 1861 e il 1866, tra cui I taste a liquor: I taste a liquor never brewed – From Tankards scooped in Pearl – Not all the Frankfort Berries Yield such an Alcohol! Inebriate of air – am I – And Debauchee of Dew – Reeling – thro’ endless summer days – From inns of Molten Blue – When “Landlords” turn the drunken Bee Out of the Foxglove’s door – When Butterflies – renounce their “drams” – I shall but drink the more! Till Seraphs swing their snowy Hats – And Saints – to windows run – To see the little Tippler From Manzanilla come! Da boccali scavati in perla – Assaporo un liquore mai distillato. Neppure le bacche di Francoforte Un alcool simile hanno mai dato! Ebbra d’aria – Corrotta di rugiada – Da locande di blu fuso – Vacillo –lungo interminabili giorni d’estate. E quando gli “osti” dalla digitale Cacceranno l’ape ubriaca – Quando la farfalla rinuncerà ai suoi “sorsi” Io, berrò ancora di più! Fino a quando i serafini dondoleranno I loro bianchi cappelli e accorreranno Alla finestra – i santi – per vedere La piccola bevitrice giunta da Manzanilla! Emily si abbandona all’euforia dei giorni d’estate, coi sensi ne gode la bellezza, si ubriaca dei loro liquori, dei profumi, s’immerge nella sensualità della natura senza curarsi dei limiti tra sé e quel mondo inebriante. Un’ubriacatura del genere è flusso vitale, perfino gli angeli, e i cherubini vorranno vedere la sua insaziabile gioia, lei, la “piccola bevitrice” così esperta, proveniente dall’origine stessa della bevanda alcolica, Manzanillo, a Cuba, produttrice di rum. Bowles farà conoscere a Emily Thomas Wentworth Higginson, autore, critico, attivista. Era collaboratore della rivista “Atlantic Monthly”, dove pubblicò un articolo “Lettera a un giovane principiante”, per dare consigli sulla scrittura. Dickinson la legge, e decide di rispondergli, nel 1862, accludendo quattro sue poesie. Higginson rimane colpito da quella ragazza, ma le dice che le sue poesie non sono ancora mature, e che necessitano di correzioni. In realtà, Higginson non capisce, quei componimenti per lui erano qualcosa di rozzo. Non si renderà mai conto di chi ha incontrato, nonostante Emily all’inizio si relazioni a lui come “l’allieva” e gli chieda: “Siete troppo occupato per dirmi se la mia poesia è viva?” Higginson non pubblicherà mai Emily, nonostante ne abbia il potere, le preferisce scrittrici più popolari e di successo, meno imbarazzanti. In vita pochissime poesie di Emily videro la luce: erano troppo rivoluzionarie, originali, provocatorie; nell’America vittoriana dal tempo, percorsa da una profonda rinascita religiosa, non c’era pubblico per quei versi. È PIÙ DIFFICILE VIVERE All’opposto dell’amore c’è la morte, che Emily interroga, immagina, cerca di capire e per questo ne è attratta, morbosamente, come l’ape che sugge il nettare del fiore. Emily incontra molte morti che la feriscono: dalla giovane di quindici anni nel 1844, a quella di Bowles, di suo padre, nel 1874, di sua madre, nel 1882, Otis. Tanto di sé ha investito su quelle persone; quando ella ama, lo fa con tutto il suo essere, dona loro la sua parola, non potendo donare il corpo, e vorrebbe che quel tramite non si spezzasse mai. Al padre, che così tanto chiedeva da lei, che la voleva esclusivamente per sé, Emily era legata profondamente, in quel legame ella aveva trovato la libertà di esistere secondo la sua natura. L’assenza senza fine di Edward Dickinson la priva di riferimenti, e lei vacilla non più perché ubriaca di vita, ma perché ha perso la sua interezza, e così si ammala. Si sente abbandonata, più sola che mai. Nel 1860 era morta anche la zia Lavinia, che Emily aveva amato come e più di sua madre. La poetessa si sgomenta, l’Oscurità della Morte è impenetrabile, incute terrore, perché la priva per sempre di tutti coloro che ama. Proprio nell’assenza impara a tollerare il dolore, ma anche a vivere la gioia dell’attesa e del ritorno; confrontandosi con se stessa, diventa consapevole della difficoltà di vivere. Afferma l’incipit di una sua poesia: “ʻTis not that Dying hurts us so – ʻTis Living – hurts us more”, è più terrorizzante vivere che morire. RECLUSA Per comprendere il dolore, in senso etimologico per includerlo, contenerlo, e così riassettare attorno ad esso tutte le esperienze, decide di vivere appartata, reclusa, di non uscire più dalla sua stanza, di ricevere le persone da dietro la porta. Dal 1861 veste esclusivamente di bianco, come una sacerdotessa, pura, vergine, non toccata dall’Oscurità e dal Male. Lì, in isolamento, scrivendo e riflettendo, fa pace con la sofferenza. Nel 1861 in una poesia immagina una persona morta (lei stessa?) che assiste al suo funerale, in versi di una potenza semantica e creativa straordinaria: I felt a Funeral, in my Brain, And Mourners to and fro Kept treading – treading – till it seemed That Sense was breaking through – And when they all were seated, A Service, like a Drum – Kept beating – beating – till I thought My Mind was going numb – And then I heard them lift a Box And creak across my Soul With those same Boots of Lead, again, Then Space – began to toll, As all the Heavens were a Bell, And Being, but an Ear, And I, and Silence, some strange Race Wrecked, solitary, here – And then a Plank in Reason, broke, And I dropped down, and down – And hit a World, at every plunge, And Finished knowing – then – Sentii un funerale, nel cervello E I passi pesanti di chi mi piangeva Avanti e indietro, lenti, finché – mi parve – il senso prendesse ad affiorare – E quando tutti furono seduti, il Rito come il suono di un tamburo – un ansito continuo finché mi parve che la mente mi si intorpidisse – E poi udì sollevare la cassa, e scricchiolarmi nell’anima con gli stessi stivali di piombo, di nuovo, e poi lo spazio cominciò a suonare a morto, come se i cieli fossero una campana e l’essere, un orecchio, e io e il silenzio, una razza strana, naufraga, solitaria, qui. E poi un asse nel cervello si spezzò, e caddi giù, e giù – colpendo un mondo a ogni tuffo e finii di capire / finii col capire, allora Cos’è dunque la Morte? Cosa c’è dopo di essa? Il nulla, il vuoto, l’eterna assenza. Il senso è percepibile, in uno stato di estasi, ma resta ineffabile. Come una mistica Emily, uscendo da sé, vede che l’abisso che separa il corpo e l’anima, la morte e la Vita, la Circonferenza misteriosa, si risolve nella morte. Negli ultimi anni di vita si ammala gravemente, muore il 15 maggio 1886. Pochi giorni prima aveva scritto un biglietto per le cugine Norcross, le figlie di zia Lavinia: “Called back” richiamata. Anche Emily aveva avuto la sua chiamata, infatti, nell’anno stesso in cui morì suo padre. E ora sente di “tornare” in quel luogo, incomprensibile ai sensi umani, che ora vede. In un condizione cioè dove non c’è più differenza tra corpo e anima, tra Vita e morte, tra pensiero e azione, dove la parola riesce a vivere in pienezza di significato e abita il mondo intero. Dove non c’è solitudine, ma solo Eternità, ritorno, consolazione. In conclusione, avendola ascoltata, e cercato di comprendere, vedo Emily Dickinson danzare nell’immaginazione, libera, leggera, ebbra della gioia della vita, davanti a un pubblico immenso, di vivi e di morti, ormai uguali, di cui lei non si cura. Si preoccupa solo, ma per poco, di non saper danzare sulle punte: I cannot dance on my toes, Non so danzare sulle punte, recita il capoverso di una straordinaria poesia. Non importa, nel sogno è possibile anche questo. Nota bibliografica, che può servire anche da spunto per ulteriori letture. • Le poesie originali sono state prese da: Emily Dickinson. The Complete poems, a cura di G. Ierolli, https://www.emilydickinson.it/poesie.html; • la traduzione in italiano delle stesse si trova in: Barbara Lanati, Emily Dickinson, Silenzi, Fetrinelli Barbara Lanati, Sillabe di seta, Feltrinelli • Per biografia e critica mi sono servita di: Barbara Lanati, Vita di Emily Dickinson. L’alfabeto dell’estasi, Feltrinelli, Harold Bloom, Emily Dickinson, Chelsea House Pub Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto, Mondadori