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Le origini di Venezia sono ancora un capitolo oscuro della storia del Medioevo, su cui poco ci dicono le fonti di cui disponiamo, spesso tra l’altro mescolando in modo inestricabile realtà e leggenda. L’unica cosa veramente certa è che Venezia nacque bizantina e tale si mantenne per alcuni secoli. I Veneziani (o “Venetici” come li chiamavano i Bizantini) elaborarono già nel X secolo una leggenda, di cui si ha notizia nell’opera di Costantino VII Porfirogenito (l’imperatore erudito sul trono di Bisanzio dal 913 al 959), secondo cui la loro città sarebbe stata fondata in “un luogo deserto, disabitato e paludoso” al tempo dell’invasione di Attila, quando cioè il re unno devastò la terraferma veneta distruggendo Aquileia e altri centri minori. Il racconto era destinato a nobilitare l’origine della città lagunare facendola derivare da un avvenimento drammatico che colpiva fortemente l’immaginario collettivo. Ma la realtà era più modesta: i Veneziani non si insediarono in territori deserti e la migrazione ebbe luogo in un lungo arco di tempo. Le isole in cui si sarebbe formata Venezia erano infatti abitate già in epoca romana, anche se non siamo in grado di dire se si sia trattato di insediamenti di una certa importanza o più semplicemente di poche case isolate o al massimo di piccoli villaggi. Significativa è in proposito una lettera di Flavio Aurelio Cassiodoro, il senatore romano che fu ministro dei re ostrogoti, a cui si deve una descrizione della laguna in una sua lettera del 537-538 con la quale ordinava il trasporto per nave di rifornimenti alimentari dall’Istria a Ravenna. Questi dovevano passare attraverso la rotta interna (i cosiddetti “Septem Maria” da Ravenna ad Altino e, di qui, ad Aquileia) sotto il controllo dei “tribuni marittimi” delle Venezie e la circostanza offre a Cassiodoro lo spunto per descrivere l’ambiente lagunare in cui si poteva navigare anche quando le condizioni del tempo non consentivano di avventurarsi in mare. Gli abitanti, egli aggiunge, vi avevano le proprie case “alla maniera degli uccelli acquatici”, con le barche legate fuori come se si trattasse di animali, e la loro unica ricchezza consisteva nella pesca e nella produzione del sale. Un ambiente, a quanto pare, con una struttura sociale ancora primitiva, ma possiamo anche chiederci fino a che punto la retorica dell’autore può avere deformato la realtà dei fatti. La nascita di Venezia, al di là di quanto raccontano le leggende, fu un processo lento, e tutto sommato oscuro, iniziato nella seconda metà del VI secolo e protrattosi per una settantina di anni o ancora di più, fino almeno al IX secolo, se si considera formazione di quel complesso urbano che oggi è la città di Venezia. Anche se erano abitate, le lagune continuavano a restare un elemento secondario rispetto alle vicine città della terraferma che avevano raggiunto una particolare fioritura in epoca romana. Tra queste la principale era Aquileia; venivano poi Oderzo, Concordia, Altino, Padova e Treviso, la cui importanza era cresciuta all’epoca della dominazione ostrogota. Tutti questi centri, che in misura diversa concorsero alla nascita di Venezia, avevano come caratteristica comune la presenza di collegamenti fluviali con il mare attraverso i quali fin dai tempi più antichi venivano esercitati i commerci. Le città legate alla nascita di Venezia facevano parte dell’ampia provincia di Venetia et Histria, costituita come decima regione dell’Italia romana al tempo dell’imperatore Augusto e divenuta provincia quando Diocleziano nel III secolo aveva riformato l’ordinamento amministrativo. La regione era così chiamata dalle due popolazioni preminenti, i Veneti e gli Histri, e si estendeva su un ampio territorio che dall’Istria giungeva a comprendere gran parte delle Tre Venezie fino al fiume Adda nell’attuale Lombardia. “La Venezia – scrive il longobardo Paolo Diacono nell’VIII secolo – non è costituita solo da quelle poche isole che ora chiamiamo Venezia, ma il suo territorio si estende dai confini della Pannonia al fiume Adda, come provano gli Annali in cui Bergamo è detta città delle Venezie” e più avanti fornisce anche una spiegazione dell’origine del nome Veneti: «il nome Veneti – anche se in latino ha una lettera in più – in greco significa ‘degni di lode’». La storia di Venezia bizantina inizia al tempo della guerra gotica, il lungo conflitto con il quale Giustiniano I riconquistò Italia. La Venetia et Histria – dove i Bizantini comparvero nel 539 – fu un fronte secondario, ma non di meno ebbe a risentire le conseguenze devastanti della guerra, che portò con sé distruzioni, violenze, carestie ed epidemie ricorrenti. Verso il 540 fu sottomessa dagli imperiali; poi durante la controffensiva ostrogota degli anni Quaranta venne spartita fra questi, i Goti e i Franchi per tornare infine sotto l’impero verso il 556 quando il generalissimo Narsete riuscì a riportare il confine alle Alpi. Scrive un cronista del tempo che dopo la fine della guerra l’Italia era “tornata all’antica felicità” ma, se mai questa vi fu, durò molto poco. Nel 568, guidati dal loro re Alboino, i Longobardi provenienti dalla Pannonia invasero infatti l’Italia superando le Alpi Giulie e dilagando nella pianura. Nell’arco di quattro anni quasi tutta l’Italia a nord del Po fu conquistata e l’invasione mise fine all’unità territoriale della regione veneta dove, nella parte orientale, restarono ai Bizantini soltanto Padova con il vicino castello di Monselice, Oderzo, Altino e Concordia. Fu anche la causa dell’inizio di un progressivo spostamento delle popolazioni della terraferma: di fronte ai nuovi venuti, la cui ferocia era proverbiale, le lagune offrivano un rifugio sicuro a causa della loro incapacità di condurre operazioni che richiedessero l’uso delle flotte. Le autorità ecclesiastiche temevano inoltre queste genti, ancora in gran parte pagane o al massimo di fede ariana, e il primo a dare l’esempio fu il patriarca di Aquileia, Paolino, che con il tesoro della chiesa si spostò in laguna nel vicino castello di Grado. I fuggiaschi pensavano sicuramente a un rifugio temporaneo, così come doveva essere accaduto in altre circostanze, ma questa volta gli avvenimenti presero un corso diverso che andava al di là delle aspettative dei protagonisti. I Longobardi si insediarono stabilmente in Italia e la loro progressiva espansione territoriale finì per accentuare gli spostamenti verso la costa delle popolazioni non intenzionate a restare sotto il loro dominio. Si trattò in ultima analisi di un avvenimento epocale, destinato cioè a cambiare il corso della storia: da un lato causò la frammentazione politica del territorio italiano, durata poi per secoli, dall’altro fu la causa determinante dell’origine di Venezia, che forse in condizioni diverse mai sarebbe esistita. I Bizantini tentarono inutilmente di cacciare i Longobardi, ma loro avanzata proseguì inesorabile nel corso degli anni, anche se con fasi di remissione e occasionali controffensive imperiali, fino ad arrivare nel 751 alla definitiva caduta di Ravenna, dove già nel VI secolo si era insediato l’esarco che per conto di Costantinopoli governava il territorio italiano, portando così alla fine del dominio di Bisanzio al centro e al nord della penisola. Il destino della terraferma veneta si compì nella prima metà del VII secolo. Nel 601 il re longobardo Agilulfo in guerra con Bisanzio si impossessò di Padova distruggendola e, poco più tardi, di Monselice. La presenza imperiale si riduceva così ai soli capisaldi di Concordia, Altino e Oderzo, ugualmente però destinati a cadere. Nel 616 Concordia era longobarda e verso il 639, quando il re Rotari condusse un attacco a fondo contro l’esarcato, fu la volta di Altino e di Oderzo. Buona parte delle popolazioni prese quindi la via delle lagune e, seguendo gli itinerari fluviali che in epoca più antica avevano segnato i loro rapporti con il mare, si insediarono in un’ampia fascia costiera che andava dai lidi di Grado fino a quelli di Chioggia. Non siamo in grado di avere idee chiare su questi spostamenti, su cui le fonti veneziane sono piuttosto confuse, ma possiamo affermare che il più importante riguardò il trasferimento dei quadri amministrativi da Oderzo verso la nuova città di Eraclea o Eracliana, fondata in quegli anni al margine della terraferma per volontà dell’imperatore Eraclio al fine di dare un nuovo centro a ciò che restava della provincia veneta. Finiva in questo modo per la Venezia di terraferma il processo storico iniziato con l’invasione longobarda e si concludeva con la nascita di una nuova realtà lagunare, costituita da un’amministrazione bizantina al governo di una specie di federazione di isole destinate a dar vita alla futura città di Venezia. La nuova realtà politica formatasi nelle lagune veneziane continuò a essere parte integrante della storia dell’impero di Bisanzio per ancora un paio di secoli. Verso il 715 (o secondo un’altra cronologia nel 697) le isole lagunari ebbero un proprio duca che diede inizio alla lunga serie dei “dogi” veneziani. Secondo la tradizione locale, il primo ad essere promosso alla carica fu un cittadino di Eraclea, di nome Paulicio, seguito da un secondo duca Marcello e da un terzo di nome Orso, ma la critica moderna è piuttosto diffidente su questa interpretazione e tende piuttosto a considerare Orso il primo vero duca veneziano, collocando la sua elezione verso il 726, nel momento in cui parte delle popolazioni italiane (e fra questi i Venetici) si ribellarono ai decreti iconoclasti dell’imperatore Leone III. Si tratterebbe in altre parole di un governatore locale eletto in contrapposizione a Bisanzio quando – come si legge nella Vita di papa Gregorio II – i sudditi in rivolta “senza tenere conto dell’ordinazione dell’esarco, in ogni parte di Italia elessero propri duchi” ma, anche se questa ribellione vi fu, ebbe breve durata e già nel 727 in un documento ufficiale Leone III e Costantino V si riferivano a Venezia come “la nostra provincia da Dio conservata”. Poco più tardi, inoltre, l’esarco in fuga da Ravenna temporaneamente occupata dai Longobardi trovò rifugio nelle lagune e poté riconquistare la sua città con l’aiuto della flotta venetica. Le isole veneziane restarono sotto il dominio imperiale anche dopo che, nel 751, i Longobardi misero fine all’esarcato, ma i rapporti con Costantinopoli cominciarono ad allentarsi al punto che nell’804 andò al potere a Malamocco (dove era stata spostata la capitale) un doge rappresentante del partito favorevole alla nuova potenza dei Franchi che si stava affermando e, quindi, avverso a Bisanzio. La situazione territoriale in terraferma si era infatti profondamente modificata: Carlo Magno nel 774 aveva messo fine al regno dei Longobardi conquistando dopo qualche tempo anche l’Istria bizantina. Nell’800 si era inoltre fatto proclamare imperatore, contrapponendo così a Costantinopoli una nuova potenza con una decisa volontà di supremazia in Occidente. In questo modo Venezia passava di fatto nell’orbita carolingia senza un’apparente reazione da parte di Bisanzio, ma quando nell’806 Carlo Magno assegnò Venezia, l’Istria e la Dalmazia al figlio Pipino, nella sua qualità di re d’Italia, l’imperatore Niceforo I, per riaffermare i diritti di Bisanzio, inviò una flotta che andò a gettare le ancore nella laguna veneta. Ne seguì una guerra bizantino-franco-venetica, con l’arrivo di un’altra flotta bizantina a Venezia, un tentativo fallito da parte di Pipino di conquistare le isole e, infine, una pace conclusa ad Aquisgrana nell’812 con cui Costantinopoli riconosceva a Carlo Magno il titolo di imperatore ma in cambio otteneva il dominio su Venezia. L’inviato imperiale che aveva trattato con Carlo Magno, lo spatario Arsafio, nell’811 a nome del suo signore dichiarò deposti il doge filofranco Obelerio e i due suoi fratelli associati al trono sostituendoli con il duca lealista Agnello Partecipazio, riportando così decisamente il governo cittadino sotto l’influenza di Costantinopoli. Questi avvenimenti segnarono l’ultimo intervento diretto di Bisanzio nella vita veneziana. Il ducato, anche se formalmente soggetto a Bisanzio, si avviò in realtà verso una progressiva indipendenza, pur mantenendo per secoli un forte legame con l’impero. Difficile dire quando Venezia sia divenuta indipendente, tenendo conto che il fatto avvenne senza scosse violente, ma soltanto come un processo naturale di evoluzione. La dottrina storica ha avanzato molte ipotesi in proposito, collocando in momenti diversi l’effettiva indipendenza fra IX e XI secolo e si può dire soltanto che già nel corso della prima metà del IX secolo vennero fatti passi notevoli in questa direzione: Agnello Partecipazio trasferì la capitale a Rialto, dando così una nuova fisionomia al ducato, e nell’828 sotto il suo successore Giustiniano il corpo di San Marco venne portato da Alessandria a Venezia dove costituì il simbolo della nuova città, sostituendo il culto bizantino di San Teodoro. E ancora, alcuni anni più tardi, i Veneziani conclusero un trattato con i Franchi (il Pactum Lotharii dell’840) con cui si comportavano né più né meno come uno stato autonomo. Ciò non significava l’indipendenza da Bisanzio, almeno come siamo soliti intenderla nei nostri schemi storici: da parte bizantina si seguitava a guardare a Venezia come una lontana provincia e da parte veneziana, non si sa se più per comodità che per convinzione, si continuò a lungo ad accettare una supremazia ideale di Bisanzio. Venezia mantenne un vincolo di sostanziale alleanza con l’Oriente fino al XII secolo, quando sotto i sovrani Comneni i rapporti cominciarono a incrinarsi, e l’aspetto più importante di questa furono i privilegi commerciali concessi a partire da Basilio II nel 992 e consolidati a partire dal 1082 con la crisobolla con cui Alessio I Comneno consentì ai Veneziani di commerciare in quasi tutto il suo impero senza pagare tasse. Oltre ai vincoli politici, tuttavia, si ebbe un rapporto culturale nel senso più ampio, in forza del quale Costantinopoli continuò a essere un modello indipendente dalla subordinazione politica, tanto che si può parlare di una Venezia bizantina anche quando era venuta meno una effettiva dipendenza. Questo rapporto si manifestò ampiamente in campo artistico (ed è sufficiente ricordare la chiesa di San Marco o la Pala d’Oro ordinata a Costantinopoli in cui ancora si vede lo smalto di Irene Dukas “eu\\sebestaéth au\\gouésth”), ma soprattutto nell’influsso esercitato dalla corte bizantina su quella ducale, riscontrabile nel sistema della coreggenza, con cui i dogi più antichi alla maniera bizantina cercavano di trasmettere il potere nell’ambito delle loro famiglie, nelle cerimonie di investitura ducale, nei vincoli matrimoniali (fra IX e XI secolo si annoverano tre dogaresse bizantine) e, infine nella concessione di titoli nobiliari bizantini ai duchi veneziani, un’usanza iniziata alle origini stesse del ducato e conservata sia pure in modo discontinuo fino all’ XI secolo. Il secolo successivo portò da una parte alla piena affermazione di Venezia come potenza mediterranea e dall’altra al progressivo allentamento e infine alla rottura dei tradizionali vincoli con Bisanzio. L’apice della crisi fu raggiunto nel 1171, allorché Manuele I Comneno fece arrestare a sorpresa i Veneziani presenti nell’impero e confiscare tutti i loro beni. Si trattò, secondo le fonti cittadine, di un atto proditorio, compiuto al fine di impossessarsi delle loro ricchezze, secondo quelle bizantine di una giusta ritorsione per la loro arroganza; ma al di là delle reciproche rivalse, resta il fatto che i rapporti fra le due potenze ne furono irrimediabilmente compromessi, malgrado i successivi tentativi di riportarli alla normalità compiuti con una serie di trattati nel 1187, nel 1189 e ancora nel 1198. Di fronte alla instabilità della politica bizantina, e al pericolo che Costantinopoli ormai in decadenza finisse in mano a qualche potenza ostile, maturò forse a Venezia il proposito di definire questi rapporti in maniera più duratura e soprattutto di garantire la sicurezza della presenza commerciale nell’impero. L’occasione venne con la Quarta Crociata, partita da Venezia nel 1202 e alla quale presero parte anche i Veneziani guidati dal loro doge Enrico Dandolo. La crociata non arrivò mai in Terra Santa e, per una serie di circostanze più o meno fortuite, deviò alla volta della capitale dell’Oriente, che crociati e Veneziani conquistarono nell’aprile del 1204, per poi insediarsi in gran parte del suo territorio, instaurando così un impero latino destinato a durare fino al 1261. Venezia diveniva in questo modo una potenza imperiale, rovesciando a proprio vantaggio il secolare legame con Bisanzio e spartendosi assieme agli altri vincitori l’impero di Romania. Per i contemporanei era un atto giusto e necessario, che Martin da Canal e altri giustificano come perfetta espressione della loro fede e come altrettanto perfetta esecuzione della volontà del papa. Si tratta, naturalmente, di propaganda, anche se espressa con convinzione, ma anche di una significativa espressione dell’orgoglio civico di una città divenuta stato. Venezia “la più bella del mondo” – come scrive il da Canal – si abbelliva ancor più con le prede di guerra portate da Costantinopoli e, si può aggiungere, in questo modo faceva sì che numerose opere d’arte fossero preservate dalle ingiurie del tempo e degli uomini per arrivare fino ai nostri giorni.
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