La fantasia insita nel mezzo cinematografico, che da sempre lo caratterizza, e il dato reale tipico dell’oggettività con la quale percepiamo la concretezza del quotidiano (cui sovente, non senza colpa, ci abituiamo stimolati forse dalla necessità di individuare punti saldi e facilmente riconoscibili), in alcune rare occasioni entrano in una sorta di legame di interdipendenza tra loro, contaminandosi vicendevolmente.
La “fantasia della realtà” è data, in maniera decisamente artificiale (ma non per questo percepita come meno convincente o coinvolgente – pensiamo al cinema, per esempio – ), anche come “realtà della fantasia”, spesso trascurata o considerata come la facile e semplicistica arringa di persone insoddisfatte del dato reale.
Andando ad affrontare un’opera che tratta con i mezzi della fantasia delle realtà presenti nel quotidiano (i cerchi nel grano esistono, su questo non c’è dubbio, ad essere messo in discussione non è il loro “darsi” – facilmente riscontrabile da chiunque voglia farsi un viaggio in Pennsylvania per ammirarli dal vivo – ma la verità di ciò che essi rappresentano, oltre che la loro origine) occorre tenere ben distinti questi due ambiti.
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