Formulare l’affermazione che la realtà non esiste ha iniziato ad avere un suo senso da quando i fisici hanno iniziato a spremere le loro meningi per rendere meno “scontata” l’algebra lineare. Eric Cavalcanti, un fisico dedito allo studio della meccanica quantistica (il regno dell’infinitamente piccolo), ha proposto il seguente paradosso (space.com/quantum-paradox-throws-doubt-on-observed-reality.html): “Se un albero cade in una foresta e non c’è nessuno a sentirlo, fa rumore? Forse no, dicono alcuni”, dunque su cosa si basa questa risposta? (contestualmente, se qualcuno si trovasse in quel bosco per ascoltarlo e se chi ha risposto di no pensasse che questa circostanza significasse ovviamente che un un suono si sia prodotto, allora si dovrebbe rivedere la risposta alla domanda iniziale).
Il tutto ha inizio nel 1961, quando le basi della meccanica quantistica erano già state delineate e confermate sperimentalmente senza però ancora riuscire a dare un senso a cosa significasse effettuare una misurazione nell’ambito della meccanica quantistica stessa, grazie al fisico ungherese Eugene Wigner. Nella meccanica quantistica ogni cosa è descritta da una funzione d’onda indicata con la lettera Ψ (psi) e la variazione di questa funzione d’onda nel tempo si ricava dalla equazione di Schrödinger. Sappiamo che la funzione d’onda in sé non è misurabile e che da essa si possono semplicemente calcolare le probabilità con cui ottenere i risultati.
Proviamo con un esempio: stabilire la probabilità che una particella si trovi in un posto anziché in un altro. Si potrebbe prevedere se una particella colpisca con diversi lanci il lato Sx o Dx di uno schermo in misura pari al 50% per ogni lato. Prima che la particella colpisca lo schermo, ovviamente, non è ne a Sx ne a Dx. Tuttavia......
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ilgeneegoista.blogspot.com/2024/05/ma-davvero-ce-chi-vive-fuori-dalla.html
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